24 Febbraio 2020 di Redazione Redazione

Pubblicato per la prima volta nel 1976, agli arbori del movimento femminista, Carnival Strippers riflette una complessa era di cambiamento, all’indomani della legalizzazione dell’aborto negli Stati Uniti.

Come tutto è cominciato

Nell’estate del 1972, Susan Meiselas e il suo partner, il fotografo e film-maker Dick Rogers, attraversano il Midwest fotografando circhi e fiere itineranti. Il viaggio non sembra rivelare nulla di interessante, finché a fine estate, la coppia arriva ad una fiera dove si svolge uno show molto particolare: un presentatore invita il pubblico ad affrettarsi ad assistere allo spettacolo, una coppia di ragazze sul palco balla e ammicca verso la folla, mentre sul retro, in un’area nascosta del tendone, per due o tre dollari, gli uomini possono accedere e vedere donne esibirsi in uno striptease al limite tra sensualità e pornografia. Da quel momento, per tre anni, Meiselas trascorre le sue estati alle fiere di paese in New England, Pennsylvania e South Carolina, per ritrarre le spogliarelliste sul palco e fuori scena, nella loro intimità, fotografando e intervistando anche fidanzati, manager e clienti.

L’indagine sociale

Alla prima mostra del proprio lavoro, e poi nel libro Carnival Strippers, Meiselas affianca ai suoi scatti la voce, le parole, dei soggetti che ha fotografato, riuscendo così a mostrare una storia complessa dal suo interno e offrendo una varietà di prospettive su temi cruciali per il periodo, quali il sesso, il maschilismo, l’affermazione della donna e la sua indipendenza. Emerge allora un vero mosaico di punti di vista diversi, spesso anche conflittuali, dove lo spettatore non sa più se si tratta della storia di donne vittime dello sfruttamento maschile oppure di spiriti liberi, che infrangono le norme della società per ricercare indipendenza e auto-affermazione.
 
Scopri cosa ne pensa Ludovica Pellegatta, Development Manager presso Magnum Photos, nel numero 321 de IL FOTOGRAFO!

Lascia un commento

qui