19 Luglio 2019 di Vanessa Avatar

La fotografia contemporanea è un immenso orfanotrofio. Scusatemi se parto così negativa, ma se mi guardo intorno vedo molti giovani fotografi abbandonati a se stessi, come se fossero rimasti solo loro in un Paese sopravvissuto a una guerra. Stanno lì, smarriti, tra le macerie di un mondo che non esiste più, guardandosi l’un l’altro senza sapere come proseguire il cammino. Alcuni improvvisano, altri emigrano dove i conflitti agiscono più lievi, altri si lasciano deperire. Chi mi conosce lo sa: il pallino di dare una spinta a questi ragazzi ce l’ho da tempo e ho compreso fin troppo bene le ragioni di questa desolazione. L’editoria mondiale è in difficoltà e in Italia è una strage. Le testate che un tempo consentivano a un autore di realizzare la sua storia per immagini, oggi non hanno soldi per assegnare servizi o pagare quelli inediti già prodotti. È l’economia intera, capillarmente e in qualunque settore, a soffrire. Le aziende hanno sospeso la pubblicità cartacea, ed è stato il web, con la sua fruibilità gratuita, a cambiare radicalmente le regole del mercato. Andava previsto e affrontato, se ne parla da più di un decennio. Oggi le scuse sono finite. Dobbiamo capire come andare oltre, individuando nuovi modi di operare.

Quale futuro per i giovani talenti? La crisi dell’editoria mondiale

Si chiama resilienza, è l’adattamento al cambiamento e vale per tutti. Per noi direttori di giornali, per gli imbianchini, le rock band, i tapparellisti, le tintorie e per i fotografi. Occorre puntare sulla qualità di quello che si produce e sulle strategie per promuoverlo. In cosa sbagliano molti giovani? Nell’illusione della conoscenza. Pensano di nascere già “imparati”, di comprarsi una reflex ed essere dei professionisti, di fermarsi al corso intermedio più economico possibile e poter fare un matrimonio, di usare i social invece di un marketing manager, di autoprodursi un libro senza rivolgersi a un curatore e a un editore che non faccia solo il tipografo. La passione e il talento oggi non bastano più. Bisogna studiare tanto e imparare tanto e investire tanto, altrimenti non si lavora. Vale per tutti i generi fotografici: il fotogiornalismo, le cerimonie, la moda, l’arte… Se molti di questi orfani, non tutti è chiaro, avessero iniziato negli anni Cinquanta del Novecento, oggi forse sarebbero considerati tra i grandi fotografi italiani. Nomi come Ferdinando Scianna, Giovanni Gastel, Gian Paolo Barbieri, Franco Fontana, Mario De Biasi, così come i maestri americani dell’agenzia Magnum, sono emersi e saliti nell’olimpo anche grazie alle riviste che li ospitavano, pagandoli e valorizzandoli. Fateci caso, hanno tutti superato la boa dei sessant’anni. Agli emergenti bisogna dare sostegno guidando le loro strategie, trovando loro nuovi genitori e nuovi asili. Possiamo farlo noi, che stiamo da questa parte della barricata, ma devono pensarci loro stessi essendo resilienti. Occorre attuare la reazione opposta a quella in atto: le piccole comunità, i singoli individui, nel corso della “perturbazione” si sono chiusi a riccio. Ognuno per sé e tutti contro tutti. Questo modo di resistere controvento porta a spezzarsi. Per adattarsi al nuovo bisogna invece provare a rigenerarsi e a collaborare. Qui non funziona? Bene, cerchiamo altrove altri modi, alzando (tutti) l’asticella della qualità. È la sola via.

Barbara Silbe

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