5 Aprile 2020 di Redazione Redazione
C’è sempre la presenza del reale nella messinscena che costruisce Halida Boughriet attraverso fotografia, video e performance. Una realtà in parte negata, comunque silenziosa e sotterranea con la sua carica di tensione sociale e politica, disagio, terrore, violenza, dolore. Nella serie Pandore (2014), così come nelle opere fotografiche più recenti Border (2017), Bullet AK-47 (2018), Exil des Anges (2019) e nel video Lamma bada, for what appeared to be (2019) è più che un leitmotiv. Il pensiero, la costruzione, la memoria e la testimonianza sono i punti chiave di una ricerca che fa dell’atto estetico un gesto d’insubordinazione. L’arte, per Boughriet, è lo strumento per esplorare l’imprevedibilità delle emozioni e restituirle in tutta la loro gamma di autenticità.
Halida Boughriet serie Pandore Bichromie au regard trompeur, 2014. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine Milano

Halida Boughriet serie Pandore Bichromie au regard trompeur, 2014. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine Milano

L’attenzione minuziosa all’estetica

L’artista ci tiene particolarmente all’estetica dell’immagine perché è consapevole delle potenzialità e della forza maggiore che ha il messaggio quando è anche poetico. È la sua reazione personale a uno stato di emergenza. Anche l’uso che fa della luce non è affatto casuale: una luce carica di simbologie, giocata com’è su piani scenografici di forte contrasto luce/ombra che rimandano a Caravaggio e alla scuola dei caravaggeschi. Circoscrivere e definire il punto critico è un passaggio importante nell’assunzione di responsabilità anche quando, come nel progetto Les absents du décor (2018), la fragilità umana è enfatizzata nella ricostruzione di finti universi, come i fondali dipinti che appartengono alla tradizione dei fotografi di studio d’altri tempi, realizzati con il cartone.
Halida Boughriet serie Pandore, Diners des anonymes, 2014. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine Milano

Halida Boughriet serie Pandore, Diners des anonymes, 2014. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine Milano

Corpi allo specchio

Il corpo rimane, comunque, un territorio allegorico dalle diverse implicazioni. Quando è presente lo specchio, da Narciso a Lacan, simbolo archetipico di conquista dell’identità– in particolare Boughriet dichiara d’ispirarsi a Leibniz –, nel riflettersi del soggetto, anche se la citazione prevede l’assenza del corpo che attribuisce spiazzamento e illusorietà all’immagine, viene affermata l’integrità dell’individuo. Lo specchio diventa anche un riflesso del sé, dell’identità. Omettere un volto, un corpo per lei non vuol dire censurare quell’individuo, ma, come insegna il Surrealismo, prevedere un sano cambiamento di prospettiva.
di Manuela De Leonardis

Halida Boughriet

Halida Boughriet

© Manuela De Leonardis


(Lens, Francia 1980, vive e lavora a Choisy le Roi) Halida Boughriet è un’artista francese di origine algerina. Con il suo lavoro fotografico, video e performativo s’interroga su temi socio-culturali legati prevalentemente a identità e geopolitica con particolare attenzione allo sradicamento, al bisogno di appartenenza e all’incomunicabilità. Al suo attivo ha mostre in musei internazionali come il Centre Pompidou, il MAC/VAL Museum (Musée d’Art contemporain du Val de Marne), l’Institut du Monde Arabe in Francia, il Museum of Modern Art di Algeri, l’Hood Museum (USA), il Düsseldorf Kunst Museum e l’Haus der Kulturen der Welt (Germania). Ha partecipato alla recente Biennale di Rabat, a Documenta 14a e alla 11a Biennale di Dak’Art; è stata inoltre inclusa nei Rencontres Internationales di Parigi, Berlino e Madrid.

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