2 Gennaio 2020 di giorgia Avatar

Lorenzo Zoppolato ha soltanto 29 anni e il suo modo di fotografare è frutto di una maturità lessicale non comune. Possiede una stupefacente capacità di rendere vivo e dinamico il suo immaginario. Va lontano, cercando archetipi che spieghino la sua ossessione per la morte, mosso dal bisogno di raccontare certi mondi ai quali sente di appartenere che lo accolgono e lo quietano più di casa sua. Huautla de Jimenez è una cittadina nello stato messicano di Oaxaca. Da quelle parti accadono fatti strani: i vivi dialogano con i morti. È la terra del Realismo Magico, un mondo nel quale il soprannaturale è parte integrante della vita di ogni giorno, ed era proprio lì che voleva andare Lorenzo Zoppolato per tuffarsi dentro a tutto ciò che l’Occidente si ostina a negare.

Il Messico e i suoi riti sospesi tra sogno e realtà

«Dopo aver vinto l’Ernesto Balzan 2017 Scholarship Fund for Young Photographers, un premio mai conseguito prima da un autore italiano, decisi di partire per il Messico. In un certo senso mi sentivo dissociato dalla cultura occidentale, avendo noi perso il contatto con la morte. Sentivo il bisogno di mescolarmi in alcune culture che vivevano questo tema in modo naturale. Il desiderio era di affrontare le mie paure. Ogni mia ossessione si incontra in ogni mio lavoro. La morte stessa è un interessante archetipo da investigare. Con questo, l’intenzione non è di esorcizzare le mie paure. Semplicemente, creo delle stanze dove tutti possono entrare e abitare».

© Lorenzo Zoppolato


«Ho molta stima di chi riesce a produrre fotografia stando vicino a dove vive. Io tendo, invece, a creare momenti speciali in situazioni nelle quali posso evocare il mio immaginario. È come se, andando lontano, cercassi ogni volta di ristabilire un contatto con la mia fantasia. Uso la fotografia per dare forma alle domande che mi pongo. Il linguaggio fotografico mi permette di concretizzare e di interrogare la realtà. Questa è la mia formula».

© Lorenzo Zoppolato


«In Messico sono stato per circa venti giorni, a cavallo del Día de los Muertos. Ho visitato diversi villaggi più o meno grandi. Altre persone mi hanno aperto le porte di casa loro e quasi sempre incontravo la loro comprensione. Mi spostavo e fotografavo con fotocamere piccole che mi hanno permesso di muovermi e creare dinamismo nelle immagini. Ho chiesto che mi insegnassero, che mi spiegassero. Mi sono posto con grande umiltà e loro hanno capito».

© Lorenzo Zoppolato


«Sono rimasto sorpreso ed emozionato nel vedere quanto fossero aperti nei miei confronti. Il titolo del mio portfolio è preso dal titolo di un libro di Luca Bigazzi, grande direttore della fotografia dei film di Sorrentino. In quel testo racconta come lui stesso concepisce la fotografia: “Ogni situazione ha bisogno di una sua luce necessaria per essere evocata”. È quello che io ho trovato a Huautla de Jimenez. Gli abitanti hanno custodito la luce necessaria per permettermi di fare chiarezza anche dentro me stesso».

Trovi l’intervista completa a cura di Barbara Silbe nel numero 319 de Il Fotografo, ancora per pochi giorni in edicola e disponibile in versione digitale qui.

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