10 Gennaio 2019 di mauro Avatar

Mimmo Dabbrescia

Nel suo futuro di giovane uomo del Sud Italia c’era il mare. Ma quando nel ’53 emigra a Milano con la sua famiglia, gli studi iniziati qualche anno prima all’istituto nautico gli serviranno a poco. Un giorno in zona Porta Ticinese nota in una vetrina alcuni bellissimi ritratti di attori. D’istinto bussa alla porta e si propone per lavorare come fotografo. «Ti chiameremo», gli dicono. Nessuno lo cercherà mai da quella che era la sede dell’agenzia Farabola, già alla seconda generazione di fotografi. Più tardi impara a sviluppare e a stampare in una piccola agenzia e, in seguito, entra nella Rotofoto di Fedele Toscani che, alla fine degli anni Cinquanta, ha in appalto i servizi di cronaca del Corriere della Sera. Nel ’61, con l’apertura di un reparto fotografico interno al quotidiano, Dino Buzzati e Alfredo Pigna – figure di peso in via Solferino – vogliono Dabbrescia nella squadra della Domenica del Corriere. Il legame con una sola testata, però, gli va stretto. Così apre una propria agenzia per collaborare anche con altre riviste. Di lì a poco incontra Gigi Vesigna e Rosanna Miani, direttore e vice direttore del settimanale Tv Sorrisi e Canzoni. In poco tempo ne diventa il fotografo di riferimento ritraendo divi e cantanti e seguendo le principali manifestazioni canore, tra cui il festival di Sanremo. Il rapporto di fiducia che crea con alcuni personaggi gli assicura diverse esclusive, come il matrimonio del discografico Piero Sugar con Caterina Caselli, nel 1970, e quello chiac- chieratissimo di Johnny Dorelli – dopo la rottura con la soubrette Lauretta Masiero – con Catherine Spaak. Nello stesso periodo il settimanale Lo Specchio gli commissiona un servizio sugli ultimi pittori bohémiens che lo mette in contatto con molti artisti dell’ambiente di Brera. Scopre così una nuova vena nella miniera del suo lavoro. Gli artisti gli commissionano la riproduzione dei loro dipinti per i cataloghi; per Sorrisi, invece, fa posare i cantanti con gli artisti nei loro atelier. Il suo primo ritratto d’artista, però, lo aveva scattato a Salvador Dalì nel 1962 a Port Lligat, mentre era in Spagna per un reportage. «Mi divertii molto. Dalì aveva una fisicità prorompente e lo lasciai libero di esprimersi davanti alla fotocamera», racconta. Ma un posto privilegiato nella carriera e nei ricordi privati di Dabbrescia è il lungo sodalizio con Fabrizio De André, iniziato nel 1969 con un servizio commissionato dalla sua casa discografica. Verso la fine degli anni Settanta i rotocalchi iniziano il loro declino per l’avanzata della televisione. Così Dabbrescia apre una casa editrice dedicata a pubblicazioni artistiche e una galleria d’arte, oggi seguite dai suoi figli Paolo e Riccardo, mentre lui continua a viaggiare per il mondo con una reflex digitale al collo.

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