10 Maggio 2020 di Redazione Redazione
Livia Corbò, giornalista, lavora in ambito fotografico da più di vent’anni, ha co-fondato l’agenzia Photo Op. In questa rubrica raccoglie le principali lezioni di umanità e lavoro di vari protagonisti del mondo dell’immagine. Critici, curatori, picture editor, fotoreporter, artisti, galleristi e allestitori raccontano in poche parole esperienze, scoperte, piccole e grandi lezioni di vita, passioni e avver- sioni maturate sul campo.

Chi è Claudio Marra

Claudio Marra è filosofo, teorico e studioso, ha insegnato fotografia nelle Accademie di Belle Arti a Ravenna, Bologna, Firenze, diventando il pioniere della filosofia applicata alla fotografia. Si è formato nel primo corso di laurea dedicato alle discipline delle arti, musica e spettacolo al DAMS di Bologna dove si è laureato in estetica nel 1976. Autore di numerosi saggi, tra cui Nelle ombre di un sogno e L’immagine infedele. La falsa rivoluzione della fotografia digitale. È vice-direttore del Dipartimento di Arti Visive, Performative e Mediali dell’Università di Bologna.
Children Born Blind August Sander, c.1930

Children Born Blind © August Sander, c.1930

I primi passi nella fotografia

Ricordo molto bene la Kodak Retinette, la macchina fotografica di mio fratello che usavo anch’io. Ho ancora esposte in casa un paio di foto che ho scattato quando avevo otto anni. Sono due ritratti: mia madre in sala da pranzo, mio padre in un esterno durante una gita sul lago di Garda.
Il primo anno accademico del DAMS fu il 1971-1972, quando dovevo iscrivermi all’università. Tra i corsi, due mie passioni: il cinema e la fotografia. Sono stato uno dei primi damsiani; il clima era vivace, si aveva la sensazione di aprire una nuova frontiera di studi e ricerche. Renato Barilli, che insegnava estetica all’epoca, mi ha trasmesso gli strumenti teorici e l’impostazione. La dimensione teorica, filosofica, estetica ha segnato tutte le mie ricerche, i miei libri e quello che ho scritto negli anni successivi. Non sono un filologo, uno storico in senso stretto.

L’approccio e i punti di riferimento

Il mio approccio alla fotografia è sempre stato di tipo filosofico. Negli anni Settanta, la fotografia era un territorio da esplorare. Eravamo dei pionieri. Sono stato quindi avvantaggiato dalle tante possibilità di ricerca e di studio in campo fotografico. Nelle accademie di Belle Arti dovevo tenere lezioni di carattere storico, teorico e critico, ma, allo stesso tempo, utili alla realizzazione di progetti da parte degli studenti. Le idee per quelle produzioni nascevano dai nostri comuni ragionamenti su artisti e fotografi. August Sander ed Eugène Atget sono gli autori che ho amato e che mi hanno spinto ad applicare gli strumenti filosofici alla fotografia. La mostra di Diane Arbus, presentata a Venezia nel 1979, mi è rimasta nella memoria. È stata la scoperta di un’autrice dirompente. I due libri imprescindibili nella storia della fotografia del Novecento sono August Sander, Ritratti del Ventesimo Secolo e, in anni più recenti Twentysix Gasoline Stations di Ed Ruscha.

Girl in a Swimming Cap Diane Arbus, 1970

Girl in a Swimming Cap © Diane Arbus, 1970

La riflessione sulla selfiemania

Sono un a-social, quindi dal punto di vista personale ho un rapporto bruttissimo con il mondo dei social. Sono legato a una dimensione privatistica della fotografia che mi impedisce di pensarla alla McLuhan che, nel 1964, scrisse che l’epoca della fotografia è come un bordello senza mura. La nevrosi del fotografare tutto, l’uso compulsivo dell’immagine fotografica sono aspetti che mi incuriosiscono, mi attraggono, ma non mi interessa praticarli. Se fossi ostaggio di una compulsività, perderei il piacere. WhatsApp è l’unico social che utilizzo, spesso comunico con mia figlia attraverso immagini. La fotocamera anteriore negli smartphone ha reso concreta l’idea della fotografia come specchio e lo sviluppo del selfie. La selfiemania. Hai la possibilità di osservarti mentre ti fotografi, di controllarti prima. Sto dalla parte di Papa Francesco. Durante un incontro con un gruppo di giovani ha parlato dei selfie, stigmatizzandone l’auto riflessività, perché il selfie è riflettere su sé stessi. Li esortava a fare attenzione ai social dove l’io e il selfie imperano. La battuta finale rimanda all’identità teorica migliore della fotografia: «Se volete essere felici, fatevi fare una foto dagli altri». Restituisce alla fotografia la sua dimensione relazionale, relazione con una persona, con il mondo, con un oggetto, con un albero. Quando perdi di vista la dimensione relazionale perdi di vista il senso profondo della fotografia. Il Papa, un grande teorico della fotografia.

Considerazioni finali

Sono “iperpartigiano”. La fotografia non è un altro pianeta. La fotografia è una protesi, sei te stesso, è una parte del tuo corpo, un modo di stare al mondo, di interpretarlo, una forma di mediazione, un medium straordinario che abbiamo a disposizione per vedere, per ricordare, per esplorare, esplorarsi. Come si fa a non considerarla una cosa appassionante. La fotografia è tutto ciò e io ho il vantaggio di averci riflettuto. L’iperfotografia di oggi ne è la prova: è un modo di vivere, un modo di essere.

di Livia Corbò

Lascia un commento

qui