12 Novembre 2020 di Redazione Redazione

Da uomo di montagna ho scelto questo ambiente come protagonista principale dei miei scatti, ma il mondo è talmente affascinante che sarebbe assurdo limitarsi a un solo ambito, seppur straordinario. E allora ho imparato a catturare scorci, sfumature e dettagli ovunque, sempre con il massimo rispetto per la realtà che mi circonda. Quel che desidero, da sempre, è di farmi specchio in cui il paesaggio si riflette e non il suo “creatore”, come oggi pare essere diventata la tendenza imperante tra i fotografi paesaggisti attraverso manipolazioni sempre più esasperate. Ritengo che questa sia l’incolmabile differenza tra un fotografo e un artista – è un pensiero che ha distinto ogni mio reportage, dei centinaia pubblicati in Italia e all’estero, e le mie spedizioni fotografiche e video in oltre cento Paesi del mondo.

L’Urlo di Pietra, Cerro Torre, Patagonia, Argentina 2003 © Michele Dalla Palma

L’Urlo di Pietra, Cerro Torre, Patagonia, Argentina 2003 © Michele Dalla Palma

Credo di aver osservato il mondo che mi circonda da quando gli occhi e il cervello sono stati in grado di elaborare concetti e sensazioni. E continuo con la stessa curiosità a cercare le sfumature, le zone d’ombra, i lampi di luce e le molteplici personalità che uno stesso paesaggio può assumere in tempi e condizioni diverse. La fotografia è stata, fin da subito, strumento e mezzo ideale per cercare di capire i territori e gli ambienti naturali, raccontandoli attraverso quello che gli occhi coglievano e registravano. In questa ricerca ho sempre privilegiato la necessità di essere il più aderente possibile alla realtà, considerando la fotografia di paesaggio ciò che si proponeva senza alcuna successiva modifica di postproduzione – poiché sono assolutamente convinto che nulla sia più stupefacente dell’assoluta bellezza che cogliamo con i nostri occhi.

L’immagine manipolata

Tentare di modificarla, di renderla diversa o addirittura migliore attraverso una postproduzione (spesso nascosta e non dichiarata), credo che evidenzi una mancanza, prima di tutto nell’animo di chi si confronta con la bellezza (e il mistero) del mondo naturale. C’è, in quest’epoca, un “fuori misura” che non conosce rispetto ed equilibrio. E ben poca giustificazione hanno quelle azioni manipolatorie dettate dal desiderio di vincere una partita all’interno di un mercato saturo e di un bombardamento mediatico che spinge a forzare la mano caricando ogni azione creativa.
«Il paesaggio esiste perché gli uomini lo guardano», ebbe a dire Franco Fontana, e, attraverso l’occhio del fotografo, si fa un autoritratto. Ribaltando questo concetto ha manipolato quell’originario autoritratto e ricostruito la scena con lo scopo di omologarla alla sua visione creativa, realizzando straordinarie scenografie e contrasti cromatici che lo hanno reso un grande maestro dell’immagine. A mio parere il paesaggio, inteso come rappresentazione di uno spazio con piani lunghi e prospettive tendenti all’infinito, a volte esaltate anche da dettagli e particolari, non è né bello né brutto, ma assume le qualifiche che la mente umana gli attribuisce. Il concetto di bello soggiace, dunque, a una valutazione estremamente soggettiva. Però ogni paesaggio dovrebbe potersi esprimere a prescindere dalla mano autoriale che lo affianca e l’immagine, per essere fotografia e non creazione artistica dovrebbe mantenere una stretta coerenza e congruenza con la realtà.

© Michele Dalla Palma

© Michele Dalla Palma

Il primato dell’occhio

Quello che l’occhio riesce a fare, e che nessuna fotocamera riuscirà mai a eguagliare, è la lettura di un ampio spettro di luce. Oggi le migliori fotocamere hanno una latitudine di posa di 4/5 stop, ma a volte nella realtà osserviamo contrasti tra luce e ombra due, tre volte superiori. Per colmare questo gap ci viene in supporto la tecnologia: i file digitali, se ben gestiti, raccolgono un’enorme quantità di informazioni colore anche nelle zone apparentemente in ombra e questo consente, a posteriori, di recuperare molti dettagli. La gestione con strumenti software di queste parti del file potrebbe sembrare una contraddizione con quanto appena affermato. Ma non è così. Non sono certamente contro la tecnologia. Sono a favore di un’azione consapevole e rispettosa. L’occhio del fotografo, infinitamente più performante della fotocamera, vede e memorizza quei dettagli e sta nella sua sapiente mano recuperarli e valorizzarli, senza manipolarli o stravolgerli.

Sfumature di verde Laos, 2008 © Michele Dalla Palma

Sfumature di verde Laos, 2008 © Michele Dalla Palma

I cinque passi per entrare nel paesaggio

  • Guardare. Abbinare a ciò che si vede un pensiero, un’idea, un’emozione che renda quell’immagine stabile ed eterna nella nostra memoria.
  • Conoscere. Non accontentarsi dell’osservazione superficiale, macercare di studiare e capire, anche nei dettagli, ciò che si osserva.
  • Previsualizzare. A seguito della conoscenza, immaginare il paesaggio con altre luci, in altri orari o in altre stagioni, riuscendo così a pensare un’immagine fotografica di quel luogo in attesa della sua manifestazione.
  • Costruire il palcoscenico. La fotografia può rendere un paesaggio piatto, inespressivo, se il fotografo, come un regista teatrale, osservando e usando quello che il paesaggio gli offre, non lo arricchisce di quinte e piani, partendo da vicino per arrivare all’infinito, individuando linee di fuga dello sguardo che permettano all’osservatore di entrare e soffermarsi su ogni piano e dettaglio.
  • Essere pazienti. È la vera arte del fotografo. Immaginare il mitico “attimo fuggente” ed essere pronto a catturarlo.  Nulla accade per caso.

di Michele Dalla Palma

Michele Dalla Palma

Giornalista e fotografo professionista da trent’anni, è specializzato nel fotoreportage sui temi dell’ambiente e dell’etnologia. Ha pubblicato oltre cinquecento servizi da ogni angolo del pianeta. Coordinatore del progetto National Geographic Photography Expeditions, nel 2017 è stato inserito nel volume fotografico 100 fotografi per 100 anni realizzato da Nikon per celebrare il suo secolo di vita.

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