31 Marzo 2020 di Redazione Redazione
Primo italiano nella storia della fotografia moderna a diventare collaboratore, dal 2009, del National Geographic Magazine, Stefano Unterthiner ha raccolto in una retrospettiva davvero unica le immagini dei suoi reportage per il Magazine. La mostra On Assignment, una vita selvaggia è in scena al Forte di Bard, Valle d’Aosta, fino al 2 giugno 2020. Sono 77 le immagini esposte, suddivise in dieci storie che mostrano un grande ritratto del mondo animale: dalle fotografie realizzate nel remoto arcipelago di Crozet a quelle prodotte, sulle tracce del puma, in Cile; dalle suggestive immagini sul cigno selvatico ai drammatici scatti che documentano il declino del cinopiteco in Indonesia. Tutta la forza del mondo animale, anche nei suoi lati tragici, in una grande mostra fotografica che va vista. Lo abbiamo incontrato e ne abbiamo parlato con lui.
Una retrospettiva che raccoglie fotografie realizzate in più di un decennio (2006-2017). Un traguardo? Una finestra su una vita dedicata a questa passione? Cos’altro? «È soprattutto uno sguardo sulle storie che ho realizzato su incarico(“on assignment”, appunto) per il National Geographic. Ormai è oltre un ventennio che faccio questo mestiere, anche se fotografo da quando avevo diciassette anni, e questa mostra, ma soprattutto il libro omonimo, raccontano la mia collaborazione decennale col Magazine. Quello sì che è un bel traguardo, perché collaborare con quella rivista è sempre stata la mia ambizione».
Volpe

In Valsavarenche, la volpe (Vulpes vulpes) “Rourounette” è accucciata nella vegetazione autunnale. Scomparsa ormai da qualche anno, questa volpe era molto popolare fra i turisti in visita al Parco, e anche facilmente riconoscibile per la coda leggermente ritorta.


Con queste sue fotografie si supera l’estetica per esprimere anche altro? «L’estetica nella fotografia è solo parte del linguaggio, una sorta di “firma” personale, mai il fine: almeno per quanto mi riguarda. Ogni progetto è studiato e preparato a lungo, la fotografia cerca di raccontare qualcosa. È quello che mi richiede il National: saper realizzare un racconto visivo, creare una narrazione come una sorta di “puzzle” in cui ogni immagine è parte di una storia più grande. L’estetica fine a se stessa, che va di gran moda in questi tempi in cui la fotografia è così tanto banalizzata, non mi ha mai interessato. Voglio raccontare storie di conservazione: quello sì che mi appassiona».
Com’è avvenuta la scelta dei temi e dei soggetti? «Sono soprattutto temi legati a specie in pericolo di estinzione. Ma la scelta è anche frutto di lunghe discussioni col mio editor del National e talvolta anche col giornalista che ha scritto la storia. Non c’è nulla di “improvvisato” nel mio lavoro».
Da un punto di vista tecnico, quali sono le principali difficoltà, e tipicità più in generale, che si incontrano fotografando gli animali? «Che sono per l’appunto animali e non modelli a cui si può chiedere collaborazione per realizzare la foto perfetta. Questo è un aspetto che talvolta si dimentica: il rispetto per il soggetto nella fotografia naturalistica (e, in generale, per qualunque fotografia si pratichi) è fondamentale».

Da pochissimo tempo sembra che l’opinione pubblica mondiale abbia sviluppato una qualche forma, inedita, di coscienza ambientalista. Secondo lei si tratta di una moda passeggera, di un innamoramento destinato a durare poche stagioni o di qualcosa che sta mettendo radici? In che direzione stiamo andando? «La coscienza ambientalista di cui parli non la vedo… Anzi, chi parla di ambiente è bollato come “ambientalista”: come fosse qualcosa
di negativo, che rappresenta una piccola parte della società, mentre dovremmo essere tutti ambientalisti! È vero, ci sono i Climate Strike degli studenti, si parla sempre più di cambiamento climatico su telegiornali e quotidiani, perché adesso è un tema che fa notizia. Oltre a questo, però, non vedo altro: i politici che avrebbero il dovere di fare scelte differenti, non fanno nulla, non capiscono assolutamente la portata del problema, che non riguarda soltanto il cambiamento climatico, ma la sistematica erosione dell’ambiente naturale che si accelera ogni anno e in ogni parte del mondo. Trovo che l’unica cosa che abbia messo radici sia l’incapacità dell’uomo di immaginare un futuro durevole per la nostra società. La direzione in cui stiamo andando è quella di un collasso sistemico della biodiversità, di cui facciamo parte».

Stefano Unterthiner

Stefano Unterthiner
Fotografo naturalistico. Classe 1970, nato ad Aosta, vanta centinaia di collaborazioni con riviste ed editori in tutto il mondo. Le sue fotografie sono esposte in numerose mostre personali in Italia e all’estero e premiate in otto differenti edizioni del Wildlife Photographer of the Year. Primo italiano, nella storia della fotografia moderna, a pubblicare un servizio fotografico completo sulla prestigiosa rivista americana National Geographic. È il fondatore della casa editrice Ylaios. Nel 2013 ha firmato il calendario Epson, il più importante calendario italiano dedicato alla fotografia d’autore. http://stefanounterthiner.com

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