Oggi parliamo di Ferdinando Scianna che usa la fotografia in bianco e nero come filtro per cercare il senso e la forma nel caos della vita.

4 Marzo 2021 di Redazione Redazione

Per la rubrica Bianco e nero d’autore oggi parliamo di Ferdinando Scianna. Primo reporter italiano a entrare in Magnum, Scianna usa la fotografia come filtro per cercare il senso e la forma nel caos della vita. 

Originario di Bagheria (Palermo), fin da quando ha iniziato a fotografare ha dovuto fare i conti con la luce della sua terra. In Sicilia, la luce può essere una maledizione. Drammatica, distruttiva, rivelatrice e impenetrabile al tempo stesso, in rapporto dialettico con il suo opposto, l’ombra. Non è un caso che Scianna fotografi a partire da quest’ultima, riparando in essa per vedere meglio nell’abbaglio. Per questo le sue immagini sono spesso cupe, materiche. Fin dalle prime che scatta durante le feste religiose, all’inizio degli anni Sessanta, in cui il mistero della fede diventa metafora di una più laica e liberatoria esplosione dell’inconscio collettivo.

Un bianco e nero drammatico

«Il bianco e nero è fin dalle sue origini la lingua della fotografia, quella con cui, fin da quando avevo diciassette anni, ho imparato a esprimermi», racconta Scianna. «Poi, nel mestiere ho fotografato moltissimo anche a colori e credo di averlo fatto con dignità. Ho vissuto dieci anni a Parigi e alla fine parlavo bene il francese. Ma la mia lingua madre è rimasta l’italiano, così come per la fotografia il bianco e nero. Ci sono fotografi che usano meravigliosamente il colore. Non è una questione di superiorità di una lingua rispetto a un’altra, ogni autore sceglie quella con cui si esprime meglio. Io compongo le mie immagini a partire dall’ombra. Inoltre, il bianco e nero si presta molto alla mia visione dialettica e drammatica della realtà. Forse perché sono siciliano».

Ferdinando Scianna

Nato a Bagheria nel 1943, dopo aver interrotto gli studi universitari di Lettere e Filosofia, nel 1963 incontra Leonardo Sciascia e nasce una lunga amicizia che porterà lo scrittore a firmare i testi del suo primo libro fotografico Feste Religiose in Sicilia e di molti altri, in seguito. Nel 1966 il libro vince il Premio Nadar.

Nello stesso anno si trasferisce a Milano dove, dal 1967 al 1982, lavora per il settimanale L’Europeo come fotoreporter e, in seguito, come corrispondente da Parigi. Introdotto da Cartier-Bresson, entra nel 1982 nell’agenzia Magnum Photos. Dal 1987 alterna al reportage e al ritratto la fotografia di moda e pubblicitaria.

Da diversi anni svolge anche attività critica e giornalistica su temi relativi alla comunicazione visuale. Tra i suoi libri: Feste Religiose in Sicilia (1965), Les Siciliens (1977), La Geometria e la Passione (2009), Baaria Bagheria, Dialoghi sulla memoria, il cinema, la fotografia, con Giuseppe Tornatore (2009), Etica e fotogiornalismo (2010), Visti & Scritti (2014), Obiettivo Ambiguo (2015).

di Emanuela Costantini

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