10 Gennaio 2019 di Vanessa Avatar

Gian Paolo Barbieri

Composizioni raffinate e messe in scena su set reali o ricreati nei minimi dettagli. Così ha rivoluzionato la fotografia di moda, negli anni in cui sulle riviste apparivano i fabbricanti di tessuti.
Quando da ragazzo andava al cinema, restava affascinato dal modo in cui le luci o certe inquadrature esaltavano la bellezza e il fascino degli attori. Così si affrettava a rincasare per provare a ricreare quegli effetti con lampade e altri ammennicoli che trovava in cantina. Inoltre, alla fine degli anni Cinquanta, Barbieri studia recitazione e in teatro scatta le sue prime fotografie da autodidatta, improvvisando i costumi con drappi di tessuto che prendeva nel negozio di suo padre. Da Milano l’amore per il cinema lo porta nella Roma della dolce vita per bussare agli studios di Cinecittà. Qui, però, riesce solo a fare qualche servizio a giovani attrici in cerca di fama, sviluppando e stampando le fotografie nella stanza della pensione in cui alloggia. Perciò decide di partire per Parigi, dove diventa assistente di Tom Kublin, fotografo della rivista di moda «Harper’s Bazaar». La scomparsa improvvisa del suo maestro dopo poche settimane lo costringe a tornare a Milano dove apre il suo studio, convinto di avere un futuro nella fotografia di moda. È il 1964. In Italia non ci sono molte riviste patinate alle quali proporsi, così comincia a guadagnare realizzando campionari Di lì a poco avvia una collaborazione con la neonata rivista «Novità» che presto diventerà «Vogue Italia», inaugurando il primo numero con una sua fotografia in copertina. Fino a quel momento a fare pubblicità sulle riviste erano perlopiù i produttori di tessuti che utilizzavano le creazioni dei couturier unicamente per mostrare i loro materiali. Insieme allo stilista Valentino, Barbieri rivoluziona le campagne pubblicitarie, spostando l’attenzione sulla personalità e sulla creatività degli stilisti ed esaltando lo spirito delle collezioni. Stravolge l’immagine della donna, scegliendo modelle che sanno interpretare la scena e dare un’anima agli abiti. Intanto in Europa tira un’aria nuova sul fronte sociale e culturale che influenza anche la moda. L’eleganza sofisticata degli anni Cinquanta lascia il posto ai colori sgargianti, alle minigonne della swinging London e a modelle giovanissime e filiformi come Twiggy e Penelope Tree. Con la nascita del prêt-à-porter, nei primi anni Settanta, il made in Italy conquista il mondo. Barbieri lavora senza sosta con i maggiori stilisti: Valentino, Giorgio Armani, Yves Saint Laurent, Gianfranco Ferré, Gianni Versace, Dolce & Gabbana. Coraggiosamente rifiuta un contratto plurimilionario con «Vogue America» per non lasciare il suo Paese e ottiene di poter lavorare per la testata dall’Italia. Più tardi si dedica anche alla fotografia di viaggio, al nudo e allo still life, ma la sua capacità di interpretare con estrema raffinatezza e perfezione l’estro e la filosofia di stilisti tanto diversi, trasformandosi nel loro “occhio”, lo hanno reso un maestro indiscusso nella fotografia di moda che ha fatto scuola in tutto il mondo.

Immagine in evidenza Simonetta Gianfelici per Valentino, 1983

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