1 Marzo 2018 di Redazione Redazione

Tim Flach: il fotografo che emoziona con le sue immagini di animali e habitat a rischio

Tim Flach, inglese classe 1958, nella sua carriera si è occupato di immagini commerciali per poi concentrarsi, nell’ultimo decennio, sulla fotografia d’arte e in particolar modo di animali e ambiente che hanno ispirato i suoi lavori. Il fotografo racconta la sua preoccupazione per il futuro dell’ambiente in quest’intervista.

Tim, quando hai cominciato a fotografare?

Ho realizzato le mie prime fotografie allo zoo di Londra, nel 1977, quando frequentavo un corso base di arte.
A distanza di quarant’anni, mi sono trovato di nuovo allo zoo di Londra, a scattare per un libro: ho chiuso un cerchio. Lo avevo previsto? Direi proprio di no.

Come hai cominciato a dedicarti a progetti personali?

Come la maggior parte dei fotografi, ho bisogno di progetti in cui immergermi, che mi spingano dove altrimenti non andrei. Inizialmente si trattava solo di aiutare qualche amico con la locandina di uno spettacolo teatrale o cose del genere.[…] Consiglierei a tutti di ritagliarsi una parte della vita per dedicarla a lavori personali e di non essere sempre e solo spinti dagli aspetti economici.

Come hai avviato la serie di “Animali da salvare”?

Ho cominciato a incontrare e intervistare alcune autoritàsul tema della protezione dell’ambiente, come Jonathan Baillie, che all’epoca era il direttore dei programmi di conservazione della Zoological Society di Londra. Ho chiesto loro opinioni e riflessioni e di spiegarmi quali fossero i problemi concreti. I loro punti di vista hanno contribuito a dare forma al progetto sulle specie a rischio.

Alcuni scatti di Animali da salvare sono stati realizzati in studio?

Sì, alcuni soggetti sono ritratti in studio, mentre altri sono fotografati in esterni, con luce naturale, ma contro un fondale nero.

Quali specie sono state piùdifficili da catturare?

La prima volta che ho fotografato le antilopi saiga, ero sotto il livello del terreno, in un rifugio bollente
e infestato di mosche. Il calore che saliva dal terreno era tale da distorcere le immagini. La seconda volta c’erano -30° e sono stato appostato per tre giorni prima di riuscire a cogliere uno sguardo di sfuggita da un maschio.

Le odierne fotocamere digitali ti hanno permesso di catturare immagini impossibili in passato?

[…]Ho usato una Canon EOS 5DS e sul campo lavoravo a ISO 1600 o 3200, con file da 50 MP. Ho potuto fotografare i gorilla da un’imbarcazione e i risultati sembrano quasi ritratti in studio, ho potuto fare cose che sarebbero state difficilissime in passato.
Puoi sapere di più del suo libro e dei progetti futuri, leggendo l’intervista completa su Digital Camera Magazine 187 attualmente in edicola e disponibile online.

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