Alberto Nacci racconta la genesi del suo progetto di still life in movimento, oggi confluito in una mostra a Milano.

17 Maggio 2023 di Giovanni Pelloso Avatar

Abbiamo incontrato Alberto Nacci all’ADI Design Museo di Milano in occasione dell’inaugurazione della sua mostra Frames. Un progetto che l’artista porta avanti da diversi anni, come ci racconta.

«Sono stato musicista per trent’anni, facendo molti concerti e tanta musica», esordisce. «Poi mi sono innamorato del suono del silenzio, del suono fra i suoni, e ho capito che il silenzio era un suono molto interessante. Dal 2009, mi occupo di immagini e suoni, ma non li produco più, li prendo da musicisti con cui collaboro o da altre situazioni».

Alberto Nacci mostra Milano
Alberto Nacci, WOODSOUND, frame 551, cm 160×90

«Questa mostra fotografica nasce con l’intento di fare il punto sulla produzione di venti film musicali ed è un po’ un passaggio che non chiude una fase, ma che dovevo compiere per capire – e ora l’ho capito – cosa ha significato valorizzare le scelte, le inquadrature, le modalità di illuminazione e tutto quello che riguardava la costruzione della scena in studio in quest’operazione che possiamo definire di still life in movimento».

La mostra di Alberto Nacci a Milano

L’artista racconta la genesi di questa mostra: «Parto da venti filmati musicali realizzati tra il 2014 e il 2022 con la collaborazione di musicisti di jazz, classica e musica contemporanea. L’obiettivo è di parlare e di raccontare la relazione che c’è fra il gesto creativo del musicista, le geometrie che descrive nel suo movimento e il suo strumento musicale».

«Quindi, il gesto diventa sonoro attraverso la produzione del suono grazie allo strumento. Questa è la relazione intima che mi interessa cogliere ed è un fatto che coinvolge tutta la persona».

mostra Frames a Milano
Alberto Nacci, I REMEMBER FRIDA, frame 1100, cm 160×90

Prosegue Alberto Nacci: «È un ripresa in still life, ma di un musicista che suona. Per me è interessante perché in questo movimento c’è sempre qualcosa che non avevo previsto prima. Provenendo dal mondo dal jazz, mi considero un jazzista con la macchina da presa. Ogni progetto inizia studiando la partitura. Lì, inserisco tutte le mie indicazioni e scrivo la sceneggiatura. Solo a questo punto il musicista arriva in studio. A quel punto c’è un lungo confronto che può durare anche mesi. La struttura prevede anche che il brano possa essere suonato trenta, quaranta, sessanta volte perché ogni volta c’è un’inquadratura diversa, un piano luci diverso, una dinamica diversa e quindi sono operazioni lunghe da realizzare. Un corto di 3 o 4 minuti può richiedere 2 o 3 giorni di ripresa e anche un mese o due mesi di montaggio».

«Ad affascinare il musicista è il progetto, anche se questo richiede tempo – non si può rimanere sulla superficie delle cose – e la possibilità di mettersi in gioco in modo rigoroso perché suonare lo stesso brano per giorni di fila, e a pezzi, rispettando i tempi della creazione della scena è una scommessa che tutti accolgono come una sfida».

Dai venti cortometraggi musicali sono stati quindi tratti altrettanti fermi-immagine di forte impatto, stampati su tela e riuniti nella mostra milanese. Conclude l’autore: «Mi piace pensare che possano essere delle opere con valore di sinestesia, ossia che possano suggerire altre percezioni, anche di profondità. La dimensione è quella del pensiero».

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