In occasione della mostra TOSCANI CHEZ MAZZOLENI, abbiamo incontrato Oliviero Toscani con cui abbiamo parlato di fotografia e molto altro.

9 Novembre 2022 di Francesca Interlenghi Francesca Interlenghi

Dopo Palazzo Reale a Milano e Palazzo Albergati a Bologna, è Mazzoleni a ospitare a Torino, fino al 14 gennaio 2023, la terza e ultima tappa del ciclo di esposizioni che celebrano gli ottant’anni di Oliviero Toscani.

La mostra TOSCANI CHEZ MAZZOLENI, a cura di Nicolas Ballario, raccoglie un’ampia selezione di scatti del celebre fotografo, dalle sue immagini più iconiche e conosciute al corpus inedito di fotografie del Grande cretto di Burri di Gibellina, presentate qui per la prima volta con la tecnica innovativa della stampa su cemento.

Irriverente, provocatorio, creativo, geniale. Con la sua capacità visionaria Toscani ha utilizzato il medium fotografico per realizzare campagne di comunicazione che ne hanno consacrato la fama internazionale, ma anche per contrastare razzismi, ineguaglianze e soprusi.

Come testimonia tra gli altri il progetto decennale Razza Umana, a cui la galleria dedica due wallpaper su larga scala, con cui Toscani ha solcato centinaia di piazze in tutto il mondo per fotografare chiunque lo desiderasse, dando vita al più grande archivio fotografico esistente sulle differenze morfologiche e sociali dell’umanità, con oltre 10.000 ritratti.

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L’intervista a Oliviero Toscani

Francesca Interlenghi: Come definirebbe il mestiere del fotografo?

Oliviero Toscani: Il vero mestiere del fotografo è capire, è guardare. Non è fare le fotografie. È essere testimoni del proprio tempo. Per fotografare in modo interessante bisogna possedere una visione e un’opinione molto personali di ciò che ci circonda, della realtà del mondo, di quella che si vuole accettare oppure respingere.

Bisogna avere fortissimo senso critico e non limitarsi a cercare consenso. Quello rende solo mediocri. Quanto a me, non l’ho mai inseguito. Sono sempre stato curioso e non mi sono mai accontentato. Ho sempre desiderato spingermi un pochino oltre, convinto che quello che ci circonda sia molto più complesso di quello che vediamo o riteniamo di vedere.

Ogni mia fotografia rispecchia la mia idea del mondo, di ciò che voglio raccontare. Fotografare, in fondo, è solo un ragionamento, una riflessione, una critica. Questa è la fotografia.

Oliviero Toscani
TOSCANI CHEZ MAZZOLENI, Photo by Renato Ghiazza. Courtesy Mazzoleni, London – Torino

FI: Il suo lavoro è stato un felice connubio di competenze e situazionismo. Me ne può parlare?

OT: Aver frequentato agli inizi degli anni ’60 la Kunstgewerbeschule a Zurigo, studiando con i maestri della Bauhaus, è stato fondamentale per acquisire competenze e professionalità. Essere fotografi significa essere autori, capire e scrivere la storia che si vuole raccontare.

Ma serve essere anche sceneggiatori, decidere dove, in che modo, quale colore, quante persone. E poi essere registi delle cose che si sono scelte, essere capaci di muoverle. E ancora, fare i direttori dell’immagine, decidere la luce come dev’essere. Alla fine, solo alla fine, serve essere fotografi, prendere la macchina e fotografare tutti questi elementi che messi insieme diventano un’immagine.

Ma anche il situazionismo è importante, ciò che succede e che non ti saresti mai immaginato che sarebbe potuto succedere. Bisogna essere capaci di vederlo e di coglierlo e possibilmente di imbarazzarsi. Perché il grande lavoro mentre lo fai ti deve imbarazzare. Solo allora diventa interessante.

Tra committenza e libertà

FI: Che ruolo ha avuto la committenza nello sviluppo della sua carriera? E come è cambiata nel tempo?

OT: La committenza è sempre importantissima, determina la qualità del lavoro, ha determinato la pittura del Rinascimento tanto per dirne una. Ma se il committente non è intelligente non si può fare un lavoro intelligente. Ecco perché mi lamento della committenza in questo momento nel nostro Paese, perché il livello qualitativo è molto basso.

Io dico sempre che in Italia è stata tolta l’illuminazione. Lo dico da fotografo: non c’è più l’illuminazione. Tutto si muove in rapporto all’economia, a un risparmio o a una speculazione e questo non produce ricchezza, nemmeno economica. È un momento molto strano in cui siamo circondati da un lusso che non ha nulla a che fare con la qualità.

E soprattutto non c’è libertà, non crediamo più nella nostra libertà. Ma in realtà tutti siamo liberi, perché la libertà è un pensiero che si può più o meno applicare a seconda delle possibilità, della fortuna, di tante circostanze. Eppure io vedo che la maggior parte delle volte non è applicata anche da chi dovrebbe applicarla.

FI: Parlando di libertà, lei si è preso quella di stampare le sue foto su cemento utilizzando una tecnica inedita e mai esplorata da nessun altro fotografo. Come è avvenuta questa scelta?

OT: Ho sempre detto che le mie foto van bene al muro, mi sono sempre piaciuti i manifesti del resto. E invece di portare le foto al muro ho portato il muro alle foto. Una cosa che è successa per caso, situazionismo… vede?

Per celebrare il duecentesimo anniversario del Gruppo Generali in Germania mi era stato commissionato un lavoro e avevo pensato di pubblicare un libro di ritratti, una ricognizione fotografica dei tedeschi del XXI secolo che, per via dell’immigrazione, hanno cambiato faccia e sono diventati un popolo molto variegato lontano dallo stereotipo del biondo con gli occhi azzurri.

È stata prodotta poi una mostra la cui prima tappa espositiva a Berlino contava 100 ritratti, di dimensioni 2m x 3m, posizionati nella Potsdamer Platz, lì dove una volta si ergeva il Muro. A quel punto sperimentare la stampa su cemento è venuto naturale.

Oliviero Toscani e Gibellina

FI: Esposta qui in galleria c’è anche la serie sul Cretto di Gibellina che lei ha realizzato per il progetto Louis Vuitton Fashion Eye. Perché tra tutte le città proprio Gibellina?

OT: Devo dire che dopo aver provato Matera e averla trovata abbastanza banale, roba da turisti, ho pensato che ci volesse una città con un significato. Tombata dopo il terremoto di Belice del 1968 da Alberto Burri, che ha colato centinaia di tonnellate di cemento sopra le rovine, Gibellina è incredibile.

Incredibile trovarsi difronte a una città che aveva tutta una sua storia e che poi è stata completamente sommersa dal cemento, in cui la natura non c’è più e l’unico fenomeno naturale rimane il terremoto. Quindi a settembre del 2018 ho realizzato questi scatti così astratti, come l’astrazione della città che è assurda, un vero controsenso.

FI: Una foto che avrebbe voluto fare e non ha fatto?

OT: Tutte. In fondo, non ho fatto niente io.

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